L’AMERICA LATINA SVOLTA A SINISTRA: UNA PESSIMA NOTIZIA PER L’EUROPA

Le recenti vittorie elettorali della sinistra in Cile, Colombia e Brasile rappresentano senza dubbio una pessima notizia anche per noi Europei. Il ritorno di Lula, eroe dei “radical chic” di casa nostra, riporta indietro le lancette del tempo e rimette in forte pericolo l’economia brasiliana.

Non a caso gli stati brasiliani del centro-sud, i più ricchi e con una forte presenza di oriundi Italiani, hanno sostenuto il presidente uscente Bolsonaro, con la speranza di chiudere definitivamente la pagina del clientelismo e della corruzione. Purtroppo, le loro speranze si sono dovute arrendere di fronte alla solita formidabile macchina della propaganda mainstream che ha saputo ripulire l’immagine di Lula e ha fatto dimenticare gli scandali del governo guidato dalla sua delfina, Dilma Rousseff. In Colombia la vittoria di Gustavo Petro pone seri interrogativi sulla capacità di Bogotá di continuare sulla strada dello sviluppo economico e della stabilita sociale. I governi di centro- destra guidati da Uribe, Santos e Duque erano riusciti a realizzare un programma economico che ha prodotto notevoli frutti positivi, ponendo il tema della sicurezza come una priorità assoluta. Tuttavia, il duro impatto del COVID, le tensioni sociali legate all’implementazione dell’accordo di pace con le FARC e le ripercussioni della crisi migratoria originata in Venezuela, hanno contribuito fortemente ad indebolire l’azione del governo di Duque e hanno spinto i colombiani a voler tentare la strada del cambiamento. Dal Cile, dopo la delusione per la sconfitta nel secondo turno delle elezioni presidenziali di Jose Antonio Kast, arriva almeno una buona notizia. Oltre il 60% dei votanti ha detto ‘no’ alla riforma della Costituzione voluta dalla sinistra. Il risultato elettorale è stato un duro colpo per Gabriel Boric, a soli sei mesi dall’inizio del suo mandato. Nel frattempo negli altri stati del continente si continuano a vedere i fallimenti del “Socialismo del XXI secolo”. Il Venezuela continua ad essere guidato da un governo illegittimo capace soltanto di creare maggiore povertà. Cuba continua ad essere l’”isola che non ce” dei progressisti. Una terra meravigliosa dove un sempre più debole partito comunista cerca di limitare aperture e liberta perché sa benissimo di aver perso l’appuntamento con la storia. Il Nicaragua di Ortega si sta chiudendo sempre di più e, in preda alla disperazione, ha iniziato addirittura ad attaccare apertamente la Chiesa Cattolica, istituzione che più di ogni altra sì e sempre impegnata per cercare di tenere aperto il dialogo tra Managua e la comunità internazionale. Il quadro che emerge da questa rapida carrellata non fa ben sperare e come se non bastasse la Cina avanza inesorabilmente in questa parte del mondo.

L’America latina è troppo importante per essere lasciata nelle mani della sinistra marxista. Per questo motivo i “Conservatori europei” sono chiamati nei prossimi mesi a rafforzare i legami con i partiti sudamericani affini e a portare avanti una contro narrativa rispetto a quella della sinistra europea che monopolizza il modo in cui si guarda all’America latina nel vecchio continente. Abbiamo un passato e un futuro comune da promuovere a da difendere, ora più che mai.

A.G.

L’UNICA IMMIGRAZIONE SOLIDALE È QUELLA LEGALE

Traffico di esseri umani con migliaia di morti in mare, aumento degli arrivi di immigrati illegali sul territorio nazionale che fomentano il lavoro in nero con salari da fame e nessun diritto garantito, manodopera a disposizione della criminalità organizzata, minore sicurezza nelle nostre città. Questo è lo scenario drammatico prodotto delle politiche “immigrazioniste” promosse dalla sinistra e sostenute dall’Ue, al quale il governo guidato da Giorgia Meloni deve tentare di trovare delle difficili soluzioni. Per farlo serve un nuovo accordo europeo e soprattutto la volontà di guardare in faccia la realtà. Il regolamento di Dublino, ovvero il criterio dello stato di primo approdo, non funziona e crea un peso sproporzionato sui paesi quali l’Italia, Malta, Spagna, Grecia e Cipro.

Cosi come rimane una chimera il meccanismo di solidarietà (temporaneo e volontario) per ricollocare i migranti che arrivano via mare. Serve cambiare totalmente approccio. Innanzitutto bisogna stipulare dei nuovi accordi bilaterali con le autorità africane affinché siano in prima linea nella lotta ai traffici illegali di persone, usando tutte le leve a disposizione dell’UE, compresi gli accordi commerciali e la cooperazione allo sviluppo; sempre con il loro consenso si devono istituire dei centri di accoglienza e identificazione direttamente nei principali paesi di transito e di partenza; servono accordi di rimpatrio con i paesi di origine i quali devono riprendersi i propri cittadini arrivati illegalmente nell’UE; infine bisogna regolamentare il ruolo delle ONG che non devono operare come dei “taxi del mare” e favorire l’immigrazione clandestina. Queste sono le quattro priorità su cui dovrebbe lavorare a Bruxelles.

Nel frattempo è necessario rimuovere le cause profonde che portano i migranti, soprattutto i più giovani, ad abbandonare la propria terra, le proprie radici e la propria famiglia per cercare una vita migliore in Europa. A questo scopo è fondamentale promuovere un piano straordinario di sviluppo per l’Africa, basato sul reciproco rispetto e sulla reciproca assunzione di responsabilità e non sulla visione “colpevolista” cara alla sinistra la quale ritiene che gli europei abbiano causato tutti i mali del continente africano. Per realizzare tutto questo occorre recuperare il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo, anche alla luce delle enormi opportunità economiche offerte dal continente africano. Il centro-destra Italiano si è sempre battuto per una corretta gestione di flussi migratori sulla base di un concetto semplice quanto efficace: l’unica immigrazione solidale è quella legale.      

A.G.

OLTRE IL RICORDO, PER RISCOPRIRE L’ESSENZA DELL’EUROPA

Ricordare cosa è successo il 9 Novembre 1989 significa innanzitutto parlare dell’essenza stessa dell’Europa. Dell’indomabile desiderio di libertà e di autodeterminazione dei suoi popoli. Non si tratta soltanto del dovere della memoria, un impegno sempre più importante e gravoso a causa dell’inesorabile trascorrere del tempo (oggi sono trascorsi ben 33 anni da quei fatti). Si tratta di comprendere i significati più profondi di una giornata storica, divenuta un simbolo, che rappresenta idealmente la seconda data più importante del processo d’integrazione europea.

Il 9 maggio 1950 si posero le basi della nostra casa comune ma si trattava di una casa ancora incompleta e per certi versi inabitata. Soltanto il 9 novembre del 1989, con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’URSS, si raggiunse finalmente la tanto auspicata unità del nostro continente. Come amava ricordare sua santità Giovanni Paolo II, l’Europa tornava a respirare con due polmoni. Quello dell’Ovest e quello dell’Est.

Questa data simbolo ci permette anche di sottolineare l’incrollabile attaccamento dei popoli europei alle proprie tradizioni e alla propria cultura nazionale oltre che la volontà di professare la propria fede.

Il muro di Berlino è caduto sotto i colpi sferrati dal desiderio di essere liberi di muoversi, di lavorare e di creare il proprio futuro sulla base del talento e del merito. Tutto ciò era stato completamente negato dal comunismo e dalla sua incarnazione più pericolosa: l’Unione Sovietica. Il muro di Berlino ha rappresentato l’immagine più drammatica dell’esperimento del socialismo reale. Un muro che serviva non a difendersi o a delimitare un confine ma a trattenere chi voleva scappare in cerca dei diritti negati e di una vita migliore, liberi dalla falsa chimera dell’egualitarismo e del centralismo democratico.

Ma il ricordo fine a sé stesso sarebbe sterile se non servisse a ispirare la nostra azione del presente e del futuro.

Per questa ragione dobbiamo continuare ad impegnarci per promuovere una società fondata sulla consapevolezza che sono le persone e non gli individui i soggetti principali dell’azione delle istituzioni. Persone che vivono in comunità, grandi e piccole, animate dall’azione dei corpi intermedi quali la famiglia e la patria. Persone che devono essere lasciate il più possibile libere di organizzare la propria esistenza, libere di lavorare e di educare i propri figli. Un modello centralista e l’imposizione del raggiungimento di target e obiettivi irrealistici, sulla base di una visione astratta e materialista della realtà, non hanno mai funzionato. Né ieri né oggi. Per questo motivo le istituzioni europee devono continuare a seguire la stella polare del principio di sussidiarietà evitando, come fatto negli ultimi anni, di diventare lo strumento dell’omologazione progressista e globalista.

Dal ricordo della caduta del muro di Berlino e della riunificazione del nostro continente deve emergere la convinzione profonda che nessun progetto politico comune è destinato a durare nel tempo se persegue l’uniformità anziché l’unita, se i suoi promotori non rispettano adeguatamente le differenze delle nazioni che lo compongono, se gli stati più grandi vogliono imporre le proprie ragioni a quelli più piccoli, se non si conserva ciò che di buono è stato realizzato da chi ci ha preceduto, se si dimentica l’importanza della trascendenza e di Dio, se si mettono al primo posto l’aspetto economico e materialista e ci si dimentica della centralità della persona umana.      

                                                                                                                                        A.G.