Negli ultimi decenni la Politica e il ruolo del Politico sono stati messi sotto attacco. Innanzitutto si è cominciato con mettere l’economica al centro della sfera pubblica. Tutto deve essere quantificato e misurabile in termini di PIL. La società diventa mercato e il cittadino consumatore. Il mondo, reso sempre più villaggio globale grazie ad una sorprendente quanto sfavillante rivoluzione tecnologica nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni, è diventato sempre più omogeneo negli usi e nei costumi. Le opportunità sembrano infinite e a portata di mano.
Ma se si guarda con attenzione le ingiustizie sono aumentate. I ricchi sono diventati ancora più ricchi mentre la classe media sta via via scomparendo. Una volta scardinato il primato del politico rispetto all’economico è iniziato un lungo processo di annientamento delle differenze e delle opinioni divergenti. Liberalismo economico e progressismo in ambito valoriale. Tutto ciò che non rientra in questo perimetro viene bollato come “estremo” e retrogrado. Insigni commentatori hanno iniziato a spiegare urbi et orbi che le classiche semplificazioni di Destra e Sinistra non avevano più senso cosi come le ideologie politiche che dovevano essere tutte derubricate a fardello del Novecento. Si è finiti (non dappertutto per fortuna) per screditare completamente il politico pensando di poterlo sostituire con persone qualunque (a patto che si facessero fotografare mentre andavano a “Palazzo” in autobus o in bicicletta!).
Queste ultime, soprattutto nei momenti di crisi, vengono sostituite con i cosiddetti “tecnici”. Sia chiaro che il ceto politico non è stato affatto privo di colpe e che purtroppo la maggior parte di coloro i quali siedono in Parlamento sono ben lungi dal poter essere definiti a pieno titolo “Onorevoli”. Ma il nostro ragionamento vuole volare alto, guardare lontano. Questo profondo processo di depoliticizzazione, accompagnato dalla diseducazione al dialogo e al dibattitto con chi la pensa diversamente e ad una eccessiva spinta al conformismo culturale definito in termini di politicamente corretto, ha spinto le persone al disimpegno. Inoltre i partiti hanno smesso di formare e selezionare la classe dirigente e si sono chiusi a riccio attorno ai loro leader promuovendo una eccessiva, quanto deleteria, personalizzazione.
Tutto questo ragionamento riguarda anche il nostro continente il quale è notoriamente oggetto di una continua crisi di leadership politica ed un contestuale aumento del potere gestito da funzionari non eletti. E qui entrano in gioco gli Europeenses. Chi sono costoro? Prima di tutto sono persone che hanno a cuore il bene comune e che hanno passione per la politica. Non si vergognano di avere delle opinioni controcorrente e sono pronte a lottare per quello in cui credono. Sono convinte che il futuro dell’Europa sarà costruito a partire dalla conoscenza approfondita della sua storia e dalla valorizzazione dell’inestimabile patrimonio culturale delle nazioni che la compongono.
Gli Europeenses sono consapevoli di aver ereditato una civiltà ben precisa, con luci e ombre, e in alcun modo intendono sacrificarla sull’altare del relativismo e del finto buonismo. Sono altresì convinti della necessita di evitare una continua centralizzazione dei processi decisionali a Bruxelles e si impegnano per tutelare il diritto di ciascuno a partecipare e comprendere la natura delle decisioni assunte in proprio nome. Gli Europeenses credono che la Politica venga prima dell’economia e che a guidare le istituzioni sia preferibile avere dei politici che rispondono ai cittadini e non dei “tecnici” che rispondo ad altre logiche (seppur legittime).
Leonidas