Ricordare cosa è successo il 9 Novembre 1989 significa innanzitutto parlare dell’essenza stessa dell’Europa. Dell’indomabile desiderio di libertà e di autodeterminazione dei suoi popoli. Non si tratta soltanto del dovere della memoria, un impegno sempre più importante e gravoso a causa dell’inesorabile trascorrere del tempo (oggi sono trascorsi ben 33 anni da quei fatti). Si tratta di comprendere i significati più profondi di una giornata storica, divenuta un simbolo, che rappresenta idealmente la seconda data più importante del processo d’integrazione europea.
Il 9 maggio 1950 si posero le basi della nostra casa comune ma si trattava di una casa ancora incompleta e per certi versi inabitata. Soltanto il 9 novembre del 1989, con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’URSS, si raggiunse finalmente la tanto auspicata unità del nostro continente. Come amava ricordare sua santità Giovanni Paolo II, l’Europa tornava a respirare con due polmoni. Quello dell’Ovest e quello dell’Est.
Questa data simbolo ci permette anche di sottolineare l’incrollabile attaccamento dei popoli europei alle proprie tradizioni e alla propria cultura nazionale oltre che la volontà di professare la propria fede.
Il muro di Berlino è caduto sotto i colpi sferrati dal desiderio di essere liberi di muoversi, di lavorare e di creare il proprio futuro sulla base del talento e del merito. Tutto ciò era stato completamente negato dal comunismo e dalla sua incarnazione più pericolosa: l’Unione Sovietica. Il muro di Berlino ha rappresentato l’immagine più drammatica dell’esperimento del socialismo reale. Un muro che serviva non a difendersi o a delimitare un confine ma a trattenere chi voleva scappare in cerca dei diritti negati e di una vita migliore, liberi dalla falsa chimera dell’egualitarismo e del centralismo democratico.
Ma il ricordo fine a sé stesso sarebbe sterile se non servisse a ispirare la nostra azione del presente e del futuro.
Per questa ragione dobbiamo continuare ad impegnarci per promuovere una società fondata sulla consapevolezza che sono le persone e non gli individui i soggetti principali dell’azione delle istituzioni. Persone che vivono in comunità, grandi e piccole, animate dall’azione dei corpi intermedi quali la famiglia e la patria. Persone che devono essere lasciate il più possibile libere di organizzare la propria esistenza, libere di lavorare e di educare i propri figli. Un modello centralista e l’imposizione del raggiungimento di target e obiettivi irrealistici, sulla base di una visione astratta e materialista della realtà, non hanno mai funzionato. Né ieri né oggi. Per questo motivo le istituzioni europee devono continuare a seguire la stella polare del principio di sussidiarietà evitando, come fatto negli ultimi anni, di diventare lo strumento dell’omologazione progressista e globalista.
Dal ricordo della caduta del muro di Berlino e della riunificazione del nostro continente deve emergere la convinzione profonda che nessun progetto politico comune è destinato a durare nel tempo se persegue l’uniformità anziché l’unita, se i suoi promotori non rispettano adeguatamente le differenze delle nazioni che lo compongono, se gli stati più grandi vogliono imporre le proprie ragioni a quelli più piccoli, se non si conserva ciò che di buono è stato realizzato da chi ci ha preceduto, se si dimentica l’importanza della trascendenza e di Dio, se si mettono al primo posto l’aspetto economico e materialista e ci si dimentica della centralità della persona umana.
A.G.