La sfida per il centro-destra liberal-conservatore, baluardo contro la deriva global-progressista

Il centro-destra rappresentato dalla sua area maggiormente liberal-conservatrice si troverà di fronte a una sfida importante negli anni venturi, tale da poterlo rendere vero e proprio ago della bilancia degli equilibri politici non solo italiani, ma anche europei e al di là dell’Atlantico.

La controversa elezione di Biden negli Stati Uniti rappresenta un punto cruciale per valutare le future dinamiche sociali ed economiche delle democrazie occidentali. E’ plausibile ipotizzare un ritorno a rapporti multilaterali tra nazioni, a fronte di non poche criticità esistenti dovute principalmente alla crescente influenza politica e commerciale della Cina che, in modo aggressivo e sovente nello spregio dei basilari diritti umani, prende sempre più il sopravvento sulle nostre economie ulteriormente indebolite dalla crisi pandemica.

In tale contesto, il mondo occidentale si presenta di fronte ai propri interlocutori debole, privo di una vera strategia di sviluppo e ripresa, diviso tra istanze global-progressiste e identitarie-conservatrici. E se finora queste ultime sono riuscite in parte a porre un freno all’espansionismo cinese, la prospettiva di un ritorno a politiche globaliste, che minano la sovranità degli Stati, pone seri dubbi sulla tenuta e sulla competitività delle nostre economie.

In tale scenario, sarà fondamentale il ruolo delle forze di centro-destra, oltre che la tenuta della loro compattezza nell’evitare di cedere alle pressioni e alle pulsioni che mirano a sfaldarlo, facendo il gioco di una sinistra che ha ormai abdicato al proprio ruolo di garante dei diritti dei lavoratori, per schierarsi al fianco dei capitali degli oligopoli e della finanza globale.

Il tentativo del mainstream global-progressista sarà dunque quello di co-optare al proprio interno la componente a trazione liberale del centro-destra, attraendola con la falsa illusione di creare un assetto moderato e popolare, celando al contempo l’unico vero scopo prefisso di isolare i partiti definiti “sovranisti” e “populisti”, come già accaduto in taluni Paesi europei.

Tale narrazione fa leva su false speranze legate al momento di crisi governativa che, per trovare attuazione in Italia, si accompagnano a proposte estemporanee quali il ritorno a un sistema elettorale proporzionale, pur consci che il sistema misto con il maggioritario resti l’unico ad assicurare stabilità e governabilità, laddove il proporzionale garantisce la rappresentatività politica e le circoscrizioni quella territoriale. Ma il non troppo celato tentativo di cambiare legge elettorale trova altrove le proprie ragioni e rischia di imporre un assetto che veda assieme componenti liberali, socialiste, riformiste, comuniste, senza alcun legame tra di loro, né coesione, né convergenza, se non la prosecuzione dell’esercizio del potere fine a sé stesso.

È essenziale preservare l’unità della coalizione di centro-destra, che rappresenta la maggioranza del Paese in Italia e che, pur con alcune divergenze di vedute interne, condivide una visione della società e dello sviluppo fondamentalmente alternativa a quella della sinistra.

Risulta, in particolare, fondamentale il posizionamento dell’area liberal-conservatrice che non può e non deve aver dubbi sulla scelta del proprio schieramento e sulla convinzione della totale incompatibilità delle proprie istanze con quelle della sinistra global-progressista che in breve tempo la fagociterebbe sotto il proprio controllo e potere, senza possibilità di ritorno.

Come possono le posizioni dei liberal-conservatori essere compatibili con quelle global-progressiste della sinistra? Come può la concorrenza nel libero mercato coniugarsi con gli oligopoli sostenuti dal globalismo? Come possono i valori basati sull’uguaglianza dei diritti nella diversità tra individui esser compatibili con l’omologazione promossa dalla sinistra?

L’area liberal-conservatrice sarà l’ago della bilancia negli assetti politici dei prossimi anni e occorrerà far di tutto per assicurare che resti nel perimetro del centro-destra come baluardo contro la deriva progressista a sinistra.

FF

Il labile confine tra democrazia liberale e oligopolio dei giganti della rete.

Il ruolo e il potere crescente dei colossi della rete su scala globale inducono a porsi delle domande per le quali si rende sempre più pressante trovare delle risposte e delle soluzioni.

Per anni le piattaforme on-line, i cosiddetti “social network”, hanno operato limitandosi a un ruolo neutrale di diffusione dei contenuti, senza intervenire nella loro moderazione, né tantomeno ricorrendo alla censura, lasciando che gli utenti si assumessero le proprie responsabilità di fronte all’autorità giudiziaria in caso di reati. E’ aumentato, invece, in modo esponenziale nel tempo, l’intervento dei gestori in maniera sempre più simile a quella di un editore che monitora e decide quali contenuti possano essere pubblicati. L’obiettivo è indubbiamente di fondamentale importanza e riguarda la lotta alla violenza e la censura di ogni possibile istigazione alla stessa. Tuttavia, molto spesso la censura della violenza diventa censura politica e si fonda su precise linee editoriali definite dai social network, pur mantenendo i gestori le responsabilità proprie di una piattaforma neutrale, godendo finanche di scudi legali.


Al tema della responsabilità, se ne associa tuttavia un altro ancora più rilevante, cioè quello della legittimità democratica. In oltre 10 anni sono state effettuate oltre 400 acquisizioni aziendali nella quasi assenza di norme anti-trust, arrivate poi in modo tardivo, a oligopolio ormai costituito. Si è creato dunque un sistema di mercato controllato da una ridotta minoranza di gestori che esercitano un controllo massivo dell’informazione su scala globale. Inoltre, in questo caso il mercato di riferimento impatta direttamente sulla libertà di espressione e sull’informazione e vi è dunque una preponderante rilevanza pubblica del servizio offerto da soggetti privati.

Creare un oligopolio di mercato concentrando nelle mani di una ridotta cerchia di piattaforme il controllo dell’informazione sulla rete e dargli potere di censura e di decidere chi possa esistervi e cosa possa o debba dire, sostituendosi talvolta anche all’autorità giudiziaria nel definire cosa è lecito e cosa no, implica la necessità di porre tutele per evitare derive liberticide e autoritarie su scala globale, permettendo sì di combattere ogni forma di violenza, ma anche garantendo l’espressione del libero pensiero.

Tuttora, il tutto avviene tramite i termini dei servizi che si accettano nell’accedere alle piattaforme, ovvero regolamenti che rappresentano l’attuale strumento dei gestori privati per giustificare le proprie limitazioni alle pubblicazioni. “Se non gradisci la nostra piattaforma e le sue condizioni, puoi sempre abbandonarla”, questo il messaggio indiretto destinato agli utenti della rete. Un po’ come se questi fossero ospiti di una casa privata il cui proprietario sia il solo a deciderne la presenza. Il che sarebbe assolutamente legittimo se anche le piattaforme operassero in regime di concorrenza equa e avessero delle responsabilità, a differenza di quanto accade.

Può dunque un soggetto, pubblico o privato che sia, operare in regime di oligopolio e avere diritto di censura tramite propri regolamenti e termini di servizio, talvolta sostituendosi anche all’autorità giudiziaria? Come garantire la pluralità di opinioni, la libertà di espressione e una equa concorrenza in un contesto in cui un ristretto numero di gestori detiene una concentrazione di capitali e di quote di mercato, facendo cartello e scoraggiando l’accesso al mercato di potenziali soggetti nuovi entranti? E al contempo, come garantire la lotta a ogni forma di violenza e alle possibili derive che ne possano conseguire?

Queste sono ovviamente solo alcune delle domande che ci si pone in seguito all’aumento di episodi di censura da parte delle piattaforme on-line. E’ indubbio che non sia sostenibile il semplice richiamo ai loro termini di servizio vista la sproporzione esistente che separa le due parti contraenti, di cui una è un colosso finanziario che opera in regime di oligopolio e l’altra un utente della rete con scarsi mezzi economici e legali.

Tali quesiti non sono tuttavia banali, ma vanno di pari passo con il sistema sociale in cui viviamo e che vogliamo lasciare alle generazioni future. Oggi si tratta della cancellazione di un post o di un account, ma se si dovesse continuare in tale direzione domani potrebbe esserci interdetto un acquisto, un ordine, un pagamento, un viaggio e potrebbero non esserci offerte alternative diverse da quelle proposte dal sistema oligopolistico.

Il tema essenziale è decidere in che tipo di società vogliamo vivere in futuro, se continuare a difendere il sistema della democrazia liberale occidentale che si fonda sullo Stato di diritto o piuttosto cedere il potere e il controllo a un regime oligopolistico che consenta a una ristretta minoranza di gestori di decidere per la maggioranza della popolazione.

E tra le due ipotesi, le norme che regolano la democrazia liberale sicuramente consentono al contempo di tutelare la libertà, combattere la violenza e ogni forma di dittatura digitale del pensiero unico dominante.

FF

La libertà per evitare l’omologazione

In un discorso rivolto alle Nazioni Unite il 24 settembre 2019, in occasione della settantaquattresima Assemblea Generale, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump indirizzava un messaggio chiaro e forte sulla necessità di costruire “un mondo libero fondato sulle proprie radici nazionali, senza cercare di cancellarle o sostituirle”.

“Se vuoi la libertà, sii orgoglioso del tuo Paese”, asseriva nel suo intervento, “se vuoi la democrazia, preserva la tua sovranità, se vuoi la pace, ama la tua nazione”. Dichiarava dunque la sua previsione, che sembrava più un monito “Il futuro non appartiene ai globalisti, il futuro appartiene ai patrioti”.
In poche ma significative frasi Trump condensava i temi fondamentali che contraddistinguono oggigiorno i due principali orientamenti politici su scala mondiale che delineano un importante spartiacque tra progressismo globalista e conservatorismo identitario.

Abbiamo da un lato un sistema progressista che promuove il multiculturalismo, il mondialismo, l’immigrazionismo, la religione ecologista, l’islamicamente corretto, l’individualismo, i diritti delle minoranze, in nome di politiche ordoliberiste che hanno portato a una oligarchia di pochi a discapito del ceto medio produttivo e delle piccole realtà.

Da un altro lato un sistema conservatore che difende le identità, le sovranità, le diversità dalla omologazione e dalla atomizzazione della società, sposando il progresso senza rinnegare istituzioni e valori, garantendo la sicurezza, difendendo la sacralità della vita, il bene comune, la centralità della famiglia naturale e della persona promuovendo una economia sociale di mercato che garantisca il mercato libero, con proporzionati correttivi sociali e con opportune tutele per la collettività.

Il dualismo tra le due correnti di pensiero ruota intorno al tema della libertà e della creazione di un mondo libero. Ma cosa è la libertà? E’ quella paventata dal mainstream mediatico in cui si esaltano i diritti individuali e personali di ogni essere umano, incuranti di quelli altrui e delle diversità tra popoli diversi senza confini, svincolati dalla società in cui si vive e dalle norme che ne regolano la comune convivenza? E’ quella del mercato globalizzato e della finanza speculativa che opera al di sopra delle leggi e delle norme imposte da Stati sovrani?

Oppure occorre forse cambiare orizzonte e far riferimento alle libertà individuali e collettive di pensiero e di azione che si inseriscono in un sistema di regole e di valori non negoziabili fondati sulla centralità del bene comune, dell’essere, della persona, della famiglia naturale e di tutte le istituzioni che hanno ispirato e guidato per decenni le principali democrazie occidentali?

La sinistra globalista e progressista, in nome di una costante presunta e auto-assunta superiorità morale, ha da sempre fatto propri i principali temi che governano la nostra società, tra cui appunto la libertà, la pace, i diritti, l’ambiente e l’ecologia (fino ad assumere connotati quasi religiosi e dogmatici), salvo interpretarli e piegarli alle proprie logiche per perseguire l’imposizione di un modello mondiale basato sul pensiero unico e sull’uomo oeconomicus e consumante, alla perenne ricerca del profitto, in una società atomizzata che aliena l’individuo e annichilisce l’anima.

Eppure questi temi non sono di appannaggio esclusivo della sinistra progressista, bensì vanno declinati in chiave identitaria, liberale e conservatrice, al fine di fornire una diversa lettura alternativa che differisca dal pensiero unico dominante che si cerca di imporre. Tale imposizione viene condotta attraverso la promozione di una cultura dell’odio, della paura e della morte che pervade l’informazione e il dibattito politico, additando negativamente ed esponendo alla gogna mediatica (e talvolta giudiziaria) chi la pensa diversamente.

Alla luce di questo binomio, è oggi quanto mai necessario affermare con forza un sistema che possa coniugare le istanze liberali e quelle conservatrici, favorendo la sussidiarietà, la difesa delle comunità locali e la rinascita del ceto medio produttivo e imprenditoriale, vero volano delle economie nazionali, promuovendo un abbassamento delle tasse e degli oneri per le imprese.
La vera libertà è quella di poter essere autenticamente noi stessi a casa nostra e di poter sostenere opinioni e posizioni politiche liberamente, al di fuori della dittatura del pensiero unico dominante e del politicamente corretto.

La libertà promossa nel rispetto delle regole e dei valori non negoziabili è la chiave di successo del fronte identitario, nell’auspicio che l’area liberal-conservatrice possa trovare una sintesi con le istanze popolari e sovraniste all’interno del centro-destra e coniugare la difesa dei valori con la promozione di un sistema economico che garantisca al contempo il mercato libero, la concorrenza, le tutele sociali e il rispetto delle sovranità.

FF