Perché proporzionale puro e riduzione dei parlamentari mettono a rischio governabilità e democrazia

Ritorna a cadenza regolare il dibattito, tutto italiano, su quale sia la migliore legge elettorale e su come si possa garantire un sistema rispettoso della costituzione e degli elettori.

Negli ultimi 25 anni abbiamo visto un continuo alternarsi di modifiche dell’impianto della legge elettorale, partendo dal Mattarellum nel 1993 che per la prima volta introduceva un sistema elettorale misto, con cui si superavano gli schemi classici della Prima Repubblica e si avanzava verso un consolidamento di un modello prevalentemente maggioritario, con due blocchi di coalizione principalmente contrapposti.

Si passò nel 2005 al Porcellum, con un sistema proporzionale con correttivo di maggioranza, considerato tuttavia incostituzionale dalla Corte nel 2013 per via delle liste bloccate troppo lunghe.

Si arrivò, infine, ai più recenti Italicum, mai entrato in vigore, e al vigente Rosatellum bis, che prevede un sistema elettorale misto, con un maggioritario uninominale a turno unico per una parte e con un meccanismo proporzionale per la parte restante.

Ben quattro differenti testi in appena 25 anni, per un equilibrio mai trovato anche alla luce di un continuo cambiamento nella composizione delle diverse forze politiche. Circostanza evidentemente particolare nel contesto delle democrazie occidentali moderne.

L’impressione è tuttavia che manchi a oggi ancora una visione di Stato e di come il corpo elettorale debba essere rappresentato nelle forze parlamentari e di governo. Sembra piuttosto che si cerchi di improvvisare costantemente nuove modifiche alla luce di interessi contingenti e di perpetrare il potere da parte dei governanti contro le opposizioni.

Come dimostrato dalla nuova maggioranza che, con un autentico ribaltone, ha ben pensato di mettere al primo punto della propria agenda una riforma elettorale che preveda da un lato un sistema proporzionale puro e da un altro la riduzione dei parlamentari.

Il cui combinato rischia di essere particolarmente pericoloso per il rispetto dei dettami democratici difesi dalla Costituzione.

Tornano dunque alla mente le parole di Gaetano Mosca, noto giurista e professore di diritto costituzionale, che, nella sua “Teoria delle classi politiche” e con i suoi contributi sull’elitismo, ci ricorda come le élite organizzate controllino le masse disorganizzate: le minoranze governanti al potere che strutturano il potere stesso al fine di auto-alimentarsi e perpetrarsi nel tempo.

Governabilità, rappresentatività politica e rappresentatività territoriale dovrebbero essere sempre garantiti in qualsiasi legge elettorale si applichi. Tutti requisiti presenti in un sistema elettorale misto maggioritario (che garantisce la governabilità) – proporzionale (che consente di avere la rappresentatività politica) con una equa suddivisione dei collegi (per la rappresentatività territoriale).

La parcellizzazione delle forze politiche che deriverebbe dall’adozione di un sistema proporzionale puro farebbe sicuramente venire meno il primo principio, quello della governabilità: maggioranze che si comporrebbero solo dopo le elezioni, con accordi e inciuci di palazzo, anche in sfregio al mandato elettorale conferito dal popolo, in perfetto stile “penta-partito”.

La riduzione del numero di parlamentari, che pure potrebbe avere senso in determinati contesti, rischia invece in questo caso di indebolire ulteriormente il ruolo di Camera e Senato, sempre più adombrato dall’azione del Governo, con un grave e crescente trasferimento del potere legislativo in favore dell’esecutivo.

Ridurre i parlamentari, ridisegnando i collegi e senza prevedere le preferenze, altro non farebbe che rafforzare sempre più le segreterie di partito che deciderebbero un numero sempre minore di fedelissimi da controllare nei propri ranghi e nelle proprie liste.

Se a tutto ciò si aggiungesse anche la pretesa richiesta di inserire il vincolo di mandato in Costituzione, si arriverebbe a un grave venir meno di ogni garanzia di indipendenza e rappresentatività da parte degli eletti del popolo.

Si obietterà che anche in altri Paesi le cose non siano tanto migliori, soprattutto se si pensa alla situazione maturata nel Regno Unito con la Brexit e con un governo che a distanza di anni ancora non dà seguito al mandato popolare ricevuto.

Il modello delle democrazie occidentali può continuare a sopravvivere solo se non si sottovaluta il crescente distacco tra il volere dei popoli e l’azione dei suoi rappresentanti.

E a tal proposito è fondamentale garantire costantemente la concordanza fra corpo elettorale e di governo, come sosteneva Costantino Mortati, membro della Commissione dei 75 dell’Assemblea Costituente, anche al fine di “evitare gravi disarmonie che possano rilevarsi rispetto al sentimento o alle esigenze espresse dal popolo”. Sia nella fase immediatamente successiva alle elezioni con la costituzione dei Governi, che nelle successive fasi di azione delle maggioranze parlamentari.

La strada maestra è sicuramente quella di un sistema maggioritario, o quantomeno con correttivo di maggioranza, che possa garantire la governabilità, consentendo alle forze politiche che vincono le elezioni di attuare quanto precedentemente proposto e promesso e di portare a compimento la propria azione di governo.

Parimenti auspicabile è anche consentire l’elezione diretta del Capo dello Stato, restituendo una più autentica sovranità al popolo, per quella che è la figura garante e depositaria dei valori dello Stato stesso.

L’esperimento della democrazia diretta è miseramente fallito in questi ultimi anni, con oligarchici esperimenti di piattaforme digitali in sostituzione dei reali strumenti democratici. Non lasciamo che tale fallimento si trasformi in subordine in maldestri e miopi tentativi di revisione costituzionale o in altri interventi legislativi che portino a nuove, gravi violazioni dei principi basilari della nostra democrazia.

Facciamo sì che il popolo abbia la possibilità e i mezzi per decidere i propri rappresentanti e l’azione dei propri governi.

 

FF

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