Pensare Europeo

“I mezzi di comunicazione italiani e la politica europea”

In Italia di Unione Europea si parla poco e male. Nel Belpaese si tende a concentrarsi troppo sull’aspetto conflittuale e spettacolare delle notizie e a mettere in secondo piano la parte informativa e contenutistica. Si sottolineano le divergenze tra i diversi leader nazionali e quelle all’interno delle istituzioni comuni ma non si affronta – quasi mai – l’attualità politica da un punto di vista compiutamente europeo.

In una fase politica caratterizzata da un forte euroscetticismo se non si spiega, in maniera appropriata, ad un italiano quali interessi ha in comune con un greco o un tedesco, come si può pensare di conquistare il sostegno dell’opinione pubblica in settori delicati – quanto importanti – come il coordinamento delle politiche economiche o la gestione dei flussi migratori?

Per capire come stanno le cose è sufficiente confrontare le principali testate nazionali nostrane (quelle che riescono ad avere un discreto seguito anche all’estero e pertanto veicolano oltre confine il “punto di vista italiano”). A mancare non è solo un adeguato livello di attenzione verso l’attività parlamentare svolta a Bruxelles o alle iniziative della Commissione Europea. A far difetto è la minima attenzione verso passaggi cruciali della vita politica dell’Unione europea, ai loro effetti concreti sulle nostre vite e alla spiegazione dei reali interessi in gioco.

Nei salotti buoni della tv (come in tanti programmi minori di approfondimento) l’Europa unita ricopre spesso il ruolo del convitato di pietra. Tutti la nominano ma pochi la conoscono davvero. Chi si ricorda una puntata di “Porta a Porta” con un confronto tra soli deputati europei? La motivazione di questo disinteresse è spesso spiegata, da parte degli addetti ai lavori, utilizzando l’espressione che parlare di Ue non “tira”. Non fa aumentare gli ascolti e non fa vendere copie in più. Eppure, negli ultimi anni, e in particolare dal 2008 in poi, non si è fatto altro che parlare di Unione Europea. Di quello che fa, che non fa o che dovrebbe fare.

Il principale potere dei mass media consiste nell’ agenda setting, ossia nel decidere ciò che è o non è una notizia e la sua relativa importanza, misurabile in spazio e qualità dell’approfondimento. Tv, Internet o carta stampata a fare la differenza è sempre la scelta – mai casuale – di cosa pubblicare e in che modo. È così che le diverse opinioni pubbliche nazionali si formano un’idea su quello che accade nel resto del mondo.

Arrivati a questo punto conviene porsi un quesito di base. Quando analizziamo quello che avviene in Europa è ancora corretto parlare di politica estera? Vista la genesi della legislazione nazionale, che per l’80% è frutto di decisioni assunte dall’UE, dovremmo affermare prontamente di no. Ma in Italia solo il 2% delle notizie politiche riportate dai mezzi di comunicazione riguarda effettivamente i processi decisionali europei.

Alla luce di questi dati appare evidente la necessità di modificare la percezione comune di ciò che possiamo classificare come politica estera tout court e ciò che, invece, è diventato talmente incisivo per la nostra vita quotidiana da dover essere considerata alla stregua della politica interna.

All’interno dell’Ue è fondamentale promuovere la formazione di una “opinione pubblica europea” e nello stesso tempo promuovere e raccontare nel migliore dei modi l’azione delle sue istituzioni e l’evoluzione del suo dibattito politico interno.

Sarebbe utile concentrarsi di meno sugli aspetti economici e finanziari e di più sulla vita quotidiana dei suoi 500 milioni di cittadini. L’Italia dovrebbe fare la sua parte. Ad esempio la RAI – servizio televisivo pubblico – potrebbe utilizzare un proprio canale   dedicandolo interamente all’Europa. In questo spazio si potrebbero proporre film e programmi in altre lingue europee – con i sottotitoli in italiano – privilegiando la messa in onda di opere e programmi ideati all’interno dell’Unione (magari in partnership come succedeva con l’arcinoto quanto rimpianto “Giochi senza Frontiere”) piuttosto che i soliti prodotti importati da Hollywood.

Un libro di Adolfo Morganti – Presidente dall’associazione culturale Identità europea-  intitolato “La costruzione dell’Europa unita” si conclude con un interrogativo e una risposta davvero illuminante: “Chi deciderà il futuro dell’Europa unita? I suoi cittadini, ma non solo chi si impegnerà a conoscere la storia e le istituzioni dell’Ue ma in primo luogo chi si impegnerà a pensare europeo.”

Andrea Guglielmi

Generazione Europea

Aprile 2010, lezione universitaria di Storia comparata dei sistemi politici europei, come esercizio affidato dal professore a ciascuno studente stavo presentando alla classe un evento particolare della storia Europea: il Putsch di Monaco, un evento troppo spesso dimenticato,

Nell’analizzare le conseguenze del fallito colpo di stato, evidenzio come il futuro dittatore spese in galera solo pochi mesi, invece dei 5 anni previsti dalla sentenza. Il professore mi interruppe per dire: “chissà cosa sarebbe successo se fosse veramente rimasto in galera per 5 anni”, ne seguì una pausa, “ma, la storia non si fa né con i se e né con i ma” concluse, dandomi nuovamente la parola. Da allora mi capita di pormi l’interrogativo “e se?”. In questo periodo storico, fatto di scetticismi, di evoluzioni che non arrivano, di promesse da mantenere, di voci inascoltate e di sogni mai realizzati, perché non chiedersi allora “e se non ci fosse l’Unione Europea?”.

Noi di Europeenses, insieme alla nostra generazione e a quella che viene dopo di noi, siamo nati circondati da un sistema che vedeva l’Europa nella nostra vita quotidiana. Noi siamo la generazione dell’Erasmus, programma che l’UE ha creato nel 1987 quando alcuni di noi non erano neppure nei pensieri di mamma e papà (io si, e forse gli provocavo anche qualche notte insonne in quel periodo…). Siamo la generazione degli smartphone e da oltre un anno possiamo viaggiare in giro per l’Europa senza doverci preoccupare del roaming, utilizziamo i nostri telefonini per navigare e grazie a Galileo la nostra posizione e le relative indicazioni sono ancora più precise. Siamo la generazione delle compagnie aeree low cost, ma, senza le politiche UE, i nostri weekend al sole a Madrid – durante i quali non dobbiamo fare il cambio della moneta – non potremmo neppure sognarceli (per non parlare poi dei diritti dei passeggeri). Siamo la generazione che a casa ha almeno 3 diversi contenitori per la raccolta differenziata, l’UE è da sempre il punto di riferimento a livello mondiale per le innovazioni in termini tecnologici a salvaguardia dell’ambiente anche con un sistema legale che guarda al futuro. Siamo la generazione delle start-up, tra il 2014 e il 2020 l’UE avrà erogato oltre 2 miliardi di € per start-up che, una volta operative, potranno usufruire del gigantesco mercato unico europeo che…indovinate da cosa è nato?

Siamo la generazione che sta vedendo cosa significhi lasciare l’Unione Europea, a riprova che i benefici dell’appartenere a un gruppo – seppure talvolta non omogeneo – saranno sempre superiori a quello che si può ottenere facendo tutto da soli. Chiederci “e se lasciassimo l’UE?” è un qualcosa che anche i più euroscettici politici italiani hanno smesso di fare!

Siamo la generazione dell’Unione Europea, e parteciparne attivamente farà bene a noi e al nostro futuro di cittadini Europeenses.

Enrico Parini

A cosa dovrebbe servire l’Unione europea?

 

Di un’unione politica tra i popoli europei c’è bisogno e ce ne sarà bisogno sempre di più. Il motivo principale è quello di evitare di diventare ininfluenti sulla scena mondiale e difendere la nostra civiltà. Pertanto, la domanda fondamentale che tutti noi dovremmo porci è la seguente: a cosa dovrebbe servire l’Unione europea? L’Unione europea non dovrebbe essere utilizzata come lo strumento per l’omologazione di tutto il continente, attraverso il progressivo smantellamento dello stato-nazione, l’annacquamento delle specificità culturali locali e l’imposizione di un unico modello economico-produttivo liberale importato dagli USA. L’Ue, invece, dovrebbe salvaguardare e valorizzare le diversità economiche, sociali e culturali che la compongo perché è dalla sua diversità che nasce la sua più grande ricchezza. Attualmente l’Unione europea è ancora la zona del mondo con il più alto livello di qualità della vita. Il nostro sistema socio-economico rappresenta ad oggi la miglior sintesi tra produzione, consumo, rispetto dell’ambiente e capacità di produrre alimenti e oggetti di qualità insuperabile. Per questo motivo non dobbiamo desiderare di diventare come gli Stati Uniti. Tantomeno non dobbiamo ridurci a diventare come la Cina (attenti solo alla crescita economica a scapito della qualità della vita e dei diritti sociali e politici) o come l’America Latina (dove la classe media è debole o pressoché inesistente). Dobbiamo essere altro. Dobbiamo essere Europa.In un mondo in cui il divario economico tra le persone continua ad aumentare, contribuendo ad alimentare forti tensioni sociali, l’Europa unita dovrebbe essere capace di perseguire un modello di sviluppo non incentrato esclusivamente sulla logica del profitto e della ricchezza economica e materiale. L’Ue dovrebbe servire anche per tutelare, con più forza, i nostri interessi nel mondo, rappresentando un punto di riferimento per tutti i principali blocchi continentali in ascesa (l’Unasur, l’Unione Africana, l’Asean, i Brics ecc. ecc.), per poter contare davvero nel mantenimento della pace -auspicabilmente avendo un’unica voce all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU – e, soprattutto, per bilanciare efficacemente gli Usa e la Cina attraverso una politica estera comune che possa contare anche su un pilastro militare libero dai condizionamenti della NATO. Grazie alle sue profonde radici culturali l’Europa unita potrebbe efficacemente riuscire a far dialogare l’Occidente con l’Oriente, il Cristianesimo con l’Islam. Un’Europa unita dovrebbe servire per trovare nuove forme di collaborazione pacifica con la Russia (nel più ampio contesto Eurasiatico), per definire un partenariato strategico (al di fuori dell’Ue) con la Turchia e per fare in modo che il Mediterraneo sia un ponte che unisce, piuttosto che un limite invalicabile tra una sponda nord ricca ma vecchia e una sponda sud povera ma giovane.

L’Unione europea dovrebbe servire (principalmente) per realizzare tutto questo. E per tutte queste ragioni dovremmo continuare a batterci!

 

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